La fine è giunta, è il momento tanto atteso in cui tutti i nodi vengono al pettine.
La caduta di Anakin Skywalker si erge come una minaccia all’orizzonte.
Nonostante abbia visto questo film svariate volte, in ognuna di esse ho sperato che la tragedia non arrivasse mai. La grande intensità di Episodio III sta anche in questo: nel conoscere già gli eventi futuri e nel non poterli cambiare.
Personalmente l’ordine seguito dalla rubrica Star Wars Reloaded – quello di uscita dei film – è anche il mio preferito, poiché lo trovo molto più carico di tensione drammatica e di profondità rispetto la semplice cronologia degli eventi narrata nella sequenza I-VI.
Episodio III è il momento in cui tutto va in frantumi, tutto, tranne la speranza rappresentata dai neonati Luke e Leia. È il film che più degli altri narra le imperfezioni umane e le loro conseguenze, chiaro monito di Lucas che quella galassia lontana lontana è in realtà più vicina a noi di quanto immaginiamo.
Ciò che accade è risaputo, quello che invece molti sottovalutano – dando la colpa solo ad uno o due personaggi specifici – è il grande aspetto corale che il creatore della saga ha voluto dare a questo capitolo conclusivo della nuova trilogia: ogni personaggio è una necessaria tessera del puzzle che compone il grande quadro della caduta di Anakin Skywalker.
– Yoda ed il Cavalieri Jedi.
Sempre più ciechi dinanzi agli eventi che si susseguono, hanno un sith fatto e finito sotto i loro occhi e non lo percepiscono nemmeno. Anzi, talvolta ci saranno pure andati a prendere un tè insieme, dimostrando al pubblico e al sith stesso di brancolare nel buio più completo.
“Cancelliere Palpatine, i sith sono la nostra specialità.”
Un plauso a Palpatine, per essersi mantenuto impassibile e non aver riso sguaiatamente, glielo dobbiamo con sincerità, poiché questa esternazione di Obi Wan risulta a dir poco grottesca visto che ha un sith davanti e nemmeno lo riconosce, tanto più che la situazione è del tutto speculare alla sala del trono di Episodio VI e chi ha già visto la vecchia trilogia non può non rabbrividire al pensiero. Ecco come Lucas ha riallacciato i nodi tra vecchio e nuovo, mostrando agli spettatori stupendi parallelismi che non possono non fare riflettere, a patto di non fermarsi al “guardare senza vedere”.
Ci vuole un grandissimo coraggio da parte di George Lucas per demolire il mito dei cavalieri jedi.
“Gioisci per coloro che si uniscono alla Forza.”
Davanti ad un disperato Anakin, Yoda fa una delle uscite più infelici dell’intera saga.
L’ascetismo del piccolo maestro suona come un enorme distacco dalla realtà, quasi un’apatia assoluta delle emozioni. Lo dico con tutta sincerità: quando ascoltai per la prima volta quella frase fu forte l’impulso a voler prendere Yoda a mazzate, anche perché le preoccupazioni di Skywalker erano così palpabili da richiedere, almeno, un po’ più di tatto. Mi ci è voluta poi una revisione della vecchia trilogia per cogliere un nesso non da poco, che tuttavia non dà alcuna giustificazione al maestro: “per ottocento anni ho addestrato jedi…” Ottocento. Mica pochi. Il significato sottinteso è di enorme portata: Yoda, per la longevità della sua specie, è stato condannato per anni a veder morire chi gli sta attorno perché di vita ben più breve. L’apatia delle emozioni, dunque, è uno scudo necessario per proteggere se stesso dalla tristezza delle molte perdite, ma qui sta la grandissima mancanza del celebre maestro: si è impedito di provare empatia per gli altri, fino a rifiutarsi di comprendere ed indagare le inquietudini del giovane Skywalker. Sarebbe stato sufficiente che scendesse dal proprio piedistallo per riflettere insieme ad Anakin, per manifestare comprensione anziché chiusura.
Quanto diverso questo Yoda dal vecchio jedi che addestra Luke su Dagobah! Su quel pianeta remoto e dimenticato da tutti si permette di inscenare una comica parodia per accogliere il ragazzo, ma soprattutto si dimostra decisamente più comprensivo di quanto non lo fosse stato venti anni prima. La propria caduta lo ha cambiato, portandolo ad una maturazione. Questo è uno dei tanti fattori che amo dei personaggi di Lucas: la loro capacità di cambiare e cambiarsi con lo scorrere del tempo e degli eventi.
“Resta qui, Skywalker, sento ancora molta confusione in te.”
Chi invece non cambia è Mace Windu, da me ribattezzato La Voce dell’Intransigenza.
Anakin gli ha appena palesemente dimostrato la propria lealtà ai jedi e lui che fa? Lo lascia completamente da solo, in balia delle proprie emozioni, dimostrando per l’ennesima volta di non avere alcuna fiducia in lui e nelle sue capacità. È l’ennesima mazzata che i jedi danno al Prescelto: lo vogliono come salvatore galattico, ma hanno talmente paura di lui da preferirlo confinato ed assoggettato ad essi. Ho provato molta poca pena per la sua dipartita, soprattutto perché causata dall’idiozia: pensava che affrontare Palpatine sarebbe stata una passeggiata, ma se un sith ha saputo farla in barba a tutti per tredici anni significa che non lo si può prendere così alla leggera.
Lucas qui è stato molto sottile, ancora una volta. Windu rimane fermo nella propria estrema sicurezza; non si pone domande, non ha esitazioni. Fa e basta, quasi senza pensare alle conseguenze. Sembra quasi la parodia grottesca dell’eroe senza macchia e senza paura, ma è proprio per questo suo essere granitico che fallisce miseramente.
Ora poniamogli accanto Luke Skywalker e riflettiamo seriamente: chi dei due ne esce vincitore? Sì, la mia è una domanda retorica, tanto lo sapete tutti come la penso.
I jedi hanno fallito. Hanno creato il vuoto intorno ad Anakin, lo hanno lasciato solo, sia fisicamente che moralmente.
– Obi Wan Kenobi.
Lui merita un discorso a parte, soprattutto perché lo spezzarsi della sua amicizia con Anakin è uno dei momenti più tragici dell’intera saga.
Palpatine con i jedi ha avuto gioco facile, poiché si sono dati da sé la zappa sui piedi, mentre invece con Obi Wan è stato un lavoro di fine cesellatura per demolire il legame tra lui ed il Prescelto.
Quel che più mi rattrista è la fiera del non detto tra maestro ed allievo. Anakin nasconde una parte di sé al proprio amico e mentore, Obi Wan fa la medesima cosa ed in quel silenzio scende inesorabile l’ombra dell’incomprensione e del tradimento.
Niente mi toglie dalla testa che Obi Wan sapesse della relazione tra Anakin e Padme, tanto che non si stupisce quasi per nulla quando si rende conto della gravidanza di lei. Sa e tace, ma al tempo stesso è palesemente geloso di quel legame affettivo. Lo comprendiamo dai quei pochi dialoghi che ha con Padme, in cui traspaiono la forte amicizia per il suo ex padawan e la consapevolezza di essere di fronte a qualcosa che va contro le rigide regole jedi, ovvero l’amore che lega la senatrice ad Anakin.
Se solo si fossero parlati, se solo ognuno si fosse aperto all’altro con sincerità!
Sarebbe finito tutto a tarallucci e vino, molto probabilmente, con Palpatine fatto a fette da entrambi.
Divide et impera, recita una locuzione latina. Darth Sidious ne comprende in pieno il significato.
Sulla mancata sincerità reciproca tra entrambi i jedi può insinuarsi così il lavoro di demolizione di Palpatine, che gioca a fare lo Iago della Galassia Lontana nel mettere zizzania tra i due, fino a separarli definitivamente grazie alle decisioni di un Consiglio ormai giunto al proprio tramonto. Il sith sa benissimo che la propria vittoria si gioca tutta sullo spezzarsi del legame tra i due amici: ne è più consapevole lui che le sue vittime e questa lungimiranza non può non far rabbrividire nella sua malvagità.
L’ultimo dialogo tra Anakin ed Obi Wan prima della catastrofe finale è qualcosa di commovente. Si dicono tutto tra le righe senza riuscire, ancora una volta, a parlarsi apertamente come si propongono di fare da molto tempo. Torneranno a guardarsi negli occhi, un’ultima volta, quando sarà quasi impossibile tornare indietro.
“Eri mio fratello, Anakin, ti volevo bene!”
“Io ti odio!”
Bugiardi.
Ancora.
Obi Wan piange disperato davanti all’amico perduto e orribilmente mutilato. Quel “ti volevo bene” al passato è quasi un rinnegare tutta la complicità che c’era sempre stata tra di loro, tanto che Skywalker-Kenobi era considerato un duo inossidabile in tutta la galassia. Ma Obi Wan vuole ancora bene ad Anakin, tanto che gli manca il coraggio necessario a dargli il colpo di grazia, il che peggiora lo stato fisico già precario del Prescelto. Distoglie il viso davanti al martirio del suo ex allievo mentre ogni residuo di amicizia crolla tra di loro.
L’odio di Anakin, lanciato al proprio maestro, è in realtà il suo grido d’accusa per essere stato lasciato solo a combattere i propri demoni interiori.
Non si rivedranno più fino allo scontro in Episodio IV. Sarà necessario Luke per portare i due a trovarsi, nuovamente amici e complici, nel mondo della Forza.
– Anakin Skywalker, il vero protagonista di tutta l’esalogia.
Mentre Yoda ed i jedi, compreso talvolta Obi Wan, rappresentano una presa di distanza dalle emozioni, il Prescelto è la gamma delle emozioni personificata.
Anakin non ne tralascia nessuna: dalla tristezza della propria infanzia allontanata dall’affetto di una madre, alla felicità più pura nel rivedere Padme, alla gioia quasi spiazzata nello scoprire che sta per diventare padre, fino alla più cieca disperazione nel sentirsi impotente a salvare le persone che ama. Il Prescelto è quel fattore che non si può contenere o assoggettare, come invece hanno cercato di fare tutti, jedi e sith. Persino Palpatine alla fine verrà defenestrato mentre si sentiva fermo nella sua convinzione di tenere i fili del suo burattino preferito.
Anakin Skywalker è quell’eroe che non sa stare da solo, ma ha bisogno di amare per potersi realizzare in pieno.
Per amore cade e per amore si redime.
Davvero non comprendo perché molti fan abbiano storto il naso davanti a questo dato di fatto, ovvero che egli abbia ceduto al Lato Oscuro per amore. Se temono che la cosa appaia smielata cadono in un errore madornale, poiché l’amore portato agli eccessi – cosa che Skywalker fa – può trasformarsi in un’arma a doppio taglio micidiale.
La perdita della madre era stato il primo, importante passo. Il non accettare di perdere Padme è il secondo e non è solo della perdita fisica che stiamo parlando, ma anche di quella morale. Quando la moglie prende le distanze da lui e dal suo passaggio al Lato Oscuro la reazione di Skywalker è la meno amorevole di tutte e sarà solo in extremis che si fermerà per non ucciderla davvero. È la forma dell’amore possessivo, che non accetta rifiuto, così lontana dall’amore più puro che è invece dono di sé.
Per paura di perdere Padme Anakin scende negli abissi del Lato Oscuro, vende letteralmente l’anima al diavolo, per paura di perdere anche il figlio Luke il Prescelto ritroverà se stesso ed il coraggio di liberarsi dalle catene della sudditanza ai sith. Un arco completo, una stupenda parabola che non può lasciare indifferenti perché in Anakin Lucas esplora l’intera gamma dell’amore umano come pochi altri personaggi cinematografici.
Sinceramente, c’è ancora gente che crede che Star Wars sia solo spade laser e combattimenti spaziali?
Gli elementi tragici e le citazioni.
– Palpatine, fingendosi amico e mentore, spiana la strada al futuro sith, presentandosi di fatto come il mitico serpente tentatore e non è un caso che nelle prime fasi del film il suo abito ricordi perfettamente la pelle squamata di un rettile, osservatelo bene. Il pubblico sa chi è, Anakin ancora no ed è questa differenza di vedute che aumenta il fattore tragico dell’opera.
Lucas lo disegna come l’emblema del tentatore di chiave cristiana: dapprima offre ogni libertà non circondata da vincoli, in cui tutto è più facile, per poi infine avviluppare tra le proprie spire; il Cancelliere si mostra un confidente affidabile e discreto, che non giudica ed anzi lascia Anakin ibero di sfogarsi, ma quando diventerà Imperatore non esiterà a far schioccare la frusta per tenere assoggettato a sé un Prescelto che ha smarrito la strada della luce.
– Il dolore di Obi Wan: la nuova speranza è già nata ma deve rimanere ignota al mondo e soprattutto all’Imperatore per poter crescere sana e salva. Kenobi, straziato nell’animo, consegna il piccolo Luke ai Lars per poi allontanarsi nel tramonto di Tatooine.
Lucas ci ha regalato poche ma significative immagini del generale jedi in preda all’afflizione più pura, eppure mentre stringe Luke tra le braccia egli ci mostra un dolore profondamente composto e consapevole del proprio fallimento. Quante lacrime avrà versato nel suo esilio su quel pianeta sabbioso? Quanti rimorsi avrà provato nel non aver saputo comprendere in tempo il suo più grande amico, nel non avergli aperto il cuore prima che ogni cosa crollasse intorno a loro?
Padme. Pur non percependo la reale natura di Palpatine, se ne mostra diffidente a pelle, non dimostrando gradimento per l’acquisizione di poteri speciali sempre più forti. È l’emblema della Politica con la maiuscola, ovvero di quell’arte umana che ha il compito di occuparsi della cittadinanza e non di ricercare un proprio tornaconto personale. In lei Lucas fa emergere la forte denuncia alla politica moderna di questa nostra galassia.
– “È così che muore la libertà, sotto applausi scroscianti.”
Ma Padme, se possiede la limpidezza del lavoro per il prossimo, sa possedere anche quella scaltrezza necessaria a mettere i bastoni tra le ruote al nascente Impero. E qui mi mangio le mani, perché mi rifiuto di vedere la nascita dell’Alleanza Ribelle relegata ad un extra su un dvd e non sul grande schermo, come avrebbe invece dovuto essere.
La senatrice Amidala finge il consenso verso il nascente impero, ma ha già pronti i semi di una ribellione da piantare. La valenza tragica di questo fatto è enorme: Anakin, schierato con l’Impero contro la Ribellione, si troverà a combattere contro i suoi stessi figli e contro una creazione di colei che fu sua moglie. Lo strappo tra il vecchio Skywalker ed il sith non potrebbe essere più enorme di così.
– Nascita e morte, in contemporanea: non ditemi che non ci si commuove con le immagini, sapientemente alternate ed incastonate in una colonna sonora superba, della nascita dei gemelli. È una doppia nascita ed una doppia morte ed è una delle sequenze più sublimi di tutta la saga, perché chiude ogni cerchio e vi pone il sigillo dell’epicità. Padme muore, così come Anakin Skywalker e di contro vengono alla luce i gemelli e Darth Vader. Mentre la morte dell’amata moglie è intesa in senso fisico quella del Prescelto è altamente simbolica e la maschera che cala inesorabile a coprire il volto è l’atto di chiusura che ci sembra definitivo, è l’umanità perduta che rimarrà nell’oscurità per vent’anni.
Padme come Ofelia:
“Per l’esposizione durante i funerali, il corpo dell’ex regina di Naboo viene preparato richiamando da vicino un’opera del pittore preraffaellita John Everet Millais. Lo stesso abito dell’ex regina ricorda l’acqua, elemento caratterizzante Naboo ma anche elemento dove l’eroina shakespeariana si è data la morte e dove il pittore l’ha ritratta; anche i fiori che la circondano e l’adornano completamente ricordano molto lo scenario pittorico. Tuttavia non è soltanto un’affinità estetica che accomuna la due immagini, ma anche il tema: Ofelia si dà la morte perché crede che il suo amato, Amleto, sia pazzo e che non l’ami più; Padmé decide di morire, nonostante la nascita dei suoi due bambini, perché l’uomo che ama è impazzito e si è convertito al male. (Valentina Mattivi)” (Brano tratto da Star Wars Athenaeum a cura di Davide Canavero)
Anakin come Edipo: come abbiamo visto per tutti gli altri film dell’esalogia Lucas non ha timore di attingere a piene mani da miti e credenze per rivisitarli nella sua galassia lontana. Anakin Skywalker è l’incarnazione perfetta del mito di Edipo, ovvero di quell’eroe che attua il proprio destino proprio nel vano tentativo di evitarlo. Più cerca di impedire la morte di Padme più scivola nel baratro del Lato Oscuro che lo porteranno a perderla per sempre.
– La Forza come Provvidenza: Lucas deve sicuramente aver letto i Promessi Sposi, poiché la Forza che scorre nella galassia lontana ha le medesime caratteristiche della manzoniana Provvidenza, la quale non interviene ad impedire il male, ma sa anzi trarre il bene proprio da ciò che è male. Durante l’Impero i nostri eroi sapranno trasformarsi, diventando persone migliori di come ci erano state dipinte nella vecchia Repubblica. Yoda, nel suo esilio su Dagobah, riflette sulle proprie intransigenze ed acquisirà quella schietta e simpatica saggezza che sarà tanto utile ad un Luke ancora incerto sulle vie della Forza. Obi Wan per vent’anni starà in silenziosa veglia sul giovane Skywalker.
Ed intanto la fiammella di bene in Anakin Skywalker si metterà quieta, nell’attesa di essere risvegliata da un giovane ragazzino ignaro delle proprie origini.
Questa è la chiusura del cerchio, questo è Star Wars Episodio III, un capitolo sublime di tragicità e speranza cucite insieme in un solo nome: Skywalker.